Il Festival Internazionale della Salute e Sicurezza sul Lavoro, organizzato dalla Fondazione Rubes Triva di concerto con l’Università degli Studi di Urbino, sarà un appuntamento ricorrente nel panorama europeo, dedicato all’approfondimento delle tematiche inerenti alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, richiamando la storica vocazione culturale della Città di Urbino.
Il tema scelto per la prima edizione (4-5-6 maggio 2022) del Festival “la prevenzione partecipata” intesa come la nuova sfida della prevenzione, si è concretizzato in un proficuo momento di incontro, approfondimento e riflessione che ha coinvolto istituzioni, mondo del lavoro e società civile.
Il Festival, in linea con la sua aspirazione al dialogo di ampio respiro, ha ospitato la Conferenza per il futuro dell’Europa – CoFoE – in una sessione introduttiva tenutasi la mattina del 4 maggio 2022.
Alla chiusura dei lavori del Festival, il 6 maggio 2022, per rendere operativi gli auspici di una sicurezza partecipata, è stata avviata la Scuola di alta formazione in salute e sicurezza sul lavoro della Fondazione Rubes Triva, presso il Rettorato dell’Università di Urbino.
Costruiamo assieme la prevenzione
La prima edizione del Festival poneva l’attenzione sulla “prevenzione partecipata” aveva come auspicio realizzare un proficuo approfondimento che coinvolgesse le istituzioni, il mondo del lavoro e la società civile. Il percorso di avvicinamento alle tre giornate di Urbino è stato caratterizzato dalla possibilità di condividere spunti e proposte sulla piattaforma on-line “costruiamo assieme la prevenzione”.
Le considerazioni pervenute hanno contribuito alla costruzione di un percorso condiviso e oggetto di approfondimento nelle sessioni del Festival dal 4 al 6 maggio 2022.
Quadro sintetico dei contenuti pervenuti
Partendo proprio dal tema della prima sessione – il rapporto tra regolarità del lavoro e sicurezza del lavoro – dai contributi ricevuti emerge innanzitutto un aspetto non sempre considerato con attenzione e tuttavia tutt’altro che marginale.
I dati sugli infortuni sul lavoro, compresi quelli mortali, non esauriscono il già preoccupante panorama della vicenda poiché non considerano quanto accade al di fuori o ai margini del lavoro regolare. A tale proposito, al di là delle diverse valutazioni tecniche che si possono esprimere sulla nuova versione dell’art. 14 del d.lgs. n. 81/2008 scaturita dalla riforma introdotta con l’art. 13 del d.l. n. 146/2021, va comunque salutata con favore l’attenzione del legislatore per quell’equazione tra lavoro regolare e lavoro sicuro che è alla base della previsione del potere di sospendere l’attività imprenditoriale non solo a fronte di gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche ove in azienda vi sia una certa percentuale di lavoratori “in nero”, a conferma dell’altissimo rischio insito già nel solo fatto dell’irregolarità del lavoro. La regolarità del lavoro costituisce infatti un’imprescindibile pre-condizione per la predisposizione di un adeguato sistema di prevenzione aziendale.
Un altro aspetto che affiora in vari contributi riguarda la sicurezza nelle catene degli appalti, rilevandosi in particolare l’insufficienza del sistema dei controlli sui profili di regolarità e sicurezza delle imprese appaltatrici e subappaltatrici sia in relazione alla dinamica negoziale dell’appalto, per quanto attiene al particolare ruolo prevenzionistico del committente/appaltante, sia per quanto riguarda la funzione degli organismi pubblici di vigilanza. II che, a ben guardare, evoca più in generale quel profilo strategico in materia di sicurezza del lavoro costituito dalla centralità delle funzioni di vigilanza che, al di là dell’imprescindibile ruolo dei pubblici poteri, emerge già all’interno del sistema aziendale di prevenzione con riferimento ai principali titolari delle posizioni di garanzia.
L’importanza del tema degli appalti si coglie anche in quei contributi che propongono di introdurre sistemi di qualificazione delle imprese (patente a punti, profilazione), specialmente nel settore edile, tali da consentire, specialmente negli appalti pubblici, di selezionare le varie imprese nella prospettiva di garantire una più effettiva sicurezza nei teatri operativi. Proposte dalle quali emerge un altro aspetto che meriterebbe maggiore attenzione, vale a dire che quando si parla di sicurezza sul lavoro si parla non solo, come è evidente, dei diritti fondamentali di chi lavora, ma anche della qualità delle imprese, a conferma che i due aspetti sono intimamente legati come d’altronde emerge dalla stessa Costituzione (art. 41).
Tra i contributi ricevuti spiccano interessanti interrogativi su uno degli scenari su cui più alta è la tensione tra regolarità e sicurezza del lavoro: quello dei lavoratori immigrati. E a tale proposito, ci si interroga sugli effetti dell’attuale assetto normativo in materia di immigrazione sull’effettiva regolarità e sicurezza del lavoro, chiedendocisi ad esempio se una maggiore apertura agli immigrati del mercato del lavoro regolare, oggi più flessibile he in passato, possa aiutare a garantire più salute e sicurezza sul lavoro, oppure se affrontare il tema dello sfruttamento lavorativo anche con gli strumenti del diritto antidiscriminatorio e non solo con le regole del codice penale possa aiutare il migrante sfruttato ad ottenere giustizia, anche a prescindere dalla costituzione di parte civile in un processo penale. Si propone perciò una lettura integrata del diritto della sicurezza sul lavoro nella logica dei c.d. determinanti sociali per prospettare margini di miglioramento interpretativo dell’assetto regolativo, rilevandosi come il perimetro tradizionalmente percorso dal diritto della sicurezza sul lavoro deve includere in modo strutturale il legame tra vulnerabilità del migrante e paradigma protettivo del diritto del lavoro.
Sul tema oggetto della Seconda Sessione del Festival – nuovi rischi ed evoluzione organizzativa – dai contributi emergono essenzialmente due prospettive.
Una prima prospettiva riguarda le modalità della prevenzione dei rischi insiti nelle nuove modalità lavorative, specialmente quelle legate alla progressiva digitalizzazione e delocalizzazione del lavoro, alimentate anche dall’emergenza pandemica. Al di là della proposta che il lavoro agile possa confermarsi come misura di prevenzione e protezione anche oltre la pandemia, specialmente per i lavoratori fragili, appare anche interessante la sottolineatura che l’attivazione dello stesso lavoro agile, così come l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie, richiedano un’adeguata progettazione ed accompagnamento per favorire l’adattamento delle organizzazioni e delle persone e prevenire in particolare lo stress lavoro correlato, anche mediante una valutazione olistica del rischio in coerenza con la stessa dimensione bio-psico-sociale del concetto di salute accolta dal d.lgs. n. 81/2008. Così come condivisibile appare il rilievo secondo cui, per superare i periodi di crisi, occorre dotare le organizzazioni di adeguate competenze, non solo tecniche, ma anche e soprattutto di natura trasversale e relazionale, investendo quindi sulla crescita delle persone che operano nelle organizzazioni.
La seconda prospettiva concerne invece le possibili ricadute sul piano giuridico delle dinamiche dei cambiamenti organizzativi nel mercato del lavoro e nei luoghi di lavoro e dei nuovi rischi emergenti dai nuovi lavori e dalle nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, con particolare riferimento alla responsabilità civile e penale del datore di lavoro derivante dalla inosservanza della disciplina prevenzionistica. Più in particolare, ci si chiede se di fronte a fattori di rischio atipici, sulla cui implicazione causale nelle patologie non esistono ancora chiare evidenze scientifiche, non sia opportuno ipotizzare puntuali regole modali di limitazione della responsabilità datoriale condivise tra le parti sociali a livello nazionale ed aziendale, da sottoporre poi, eventualmente, a “validazione” nelle competenti sedi istituzionali. Ciò al fine di identificare un perimetro più certo dell’obbligazione prevenzionistica e della responsabilità del datore di lavoro a seguito del suo inadempimento, come per certi versi è parso di cogliere nel tentativo operato dal legislatore con l’art. 29-bis del d.l. n. 23/2020 che, in relazione all’emergenza pandemica, ha identificato l’adempimento dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. con l’applicazione dei protocolli anti-contagio condivisi tra Parti sociali e Governo: un modello di regolazione, quest’ultimo, sulla cui efficacia si registrano peraltro opinioni assai contrastanti stante l’ampia portata del principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile che promana dallo stesso art. 2087 c.c.
Com’era facilmente prevedibile, la maggior parte dei contributi toccano, con toni critici, il delicatissimo tema oggetto della Terza Sessione del Festival: la formazione per la sicurezza sul lavoro.
Un profilo di indubbia rilevanza riguarda il fatto che la formazione risulta spesso non supportata da un’adeguata analisi dei rischi (VDR) e quindi dei fabbisogni formativi, ponendosi giustamente l’accento sulle carenze progettuali della formazione la quale va pianificata e gestita a priori e non “rincorsa”. E, sempre in relazione all’importanza dei rischi presenti nei vari contesti produttivi, si invoca maggiore spazio per la formazione specifica con particolare attenzione all’uso delle apparecchiature e dei macchinari caratteristici dello specifico settore lavorativo.
In un contributo si è segnalato come la progettazione della formazione dovrebbe avvalersi anche di un confronto costante con tutti i soggetti che operano in un dato territorio in materia di sicurezza sul lavoro e tenere conto, anche in una prospettiva di scambio, delle esperienze e delle buone prassi sviluppatesi in altri contesti aziendali, risultando fondamentale a tale proposito la condivisione dei near miss. Un aspetto da tenere in maggiore considerazione riguarda anche la comunicazione della sicurezza in azienda, anche attraverso l’uso di vari “linguaggi” (musica, danza e architettura).
Una particolare attenzione è dedicata agli aspetti comportamentali, in ciò cogliendosi il nocciolo della stessa definizione di “formazione” accolta dal d.lgs. n. 81/2008 che, nella sostanza, la identifica con un processo educativo finalizzato ad incidere sui comportamenti e sugli abiti mentali dei lavoratori. Il nesso tra formazione ed educazione è stato d’altronde colto anche da chi ha sottolineato l’importanza dell’inserimento della formazione per la sicurezza nei programmi scolastici al fine di favorire fin dalla più giovane età la costruzione di una cultura della sicurezza intesa come consapevolezza dei rischi e propensione alla prevenzione anche – ed è un dato rilevante – in una prospettiva solidaristica, la cui mancanza si sta ad esempio avvertendo nell’emergenza pandemica con riferimento alla c.d. esitazione vaccinale.
Più di un contributo ha segnalato l’esigenza di sensibilizzare i lavoratori in merito alla conoscenza dei propri comportamenti nell’ambiente lavorativo, anche mediante interventi teorico-pratici sul campo, portando i lavoratori a concepire la formazione non solo come un dovere, e quindi spesso a “subirla”, bensì anche come un diritto, il che evoca la questione della frequente mancanza di una coscienza personale nei riguardi della sicurezza sul lavoro. Viene qui in gioco il problema della percezione soggettiva del rischio, diversa da individuo ad individuo, in relazione al quale si propongono strumenti volti ad analizzare la tendenza al rischio dei lavoratori, dovendosi prestare maggiore attenzione su chi, anche involontariamente, abbia una percezione errata di tale tendenza.
Più d’uno ha sottolineato la necessità di semplificare e rendere più chiara ed efficace l’organizzazione della formazione anche mediante la predisposizione di un testo unico in materia che accorpi ed aggiorni tutti gli accordi Stato-Regioni, e ciò in linea con le recenti modifiche introdotte dal d.l. n. 146/2021. E, proprio in relazione a queste ultime, occorre individuare gli idonei percorsi formativi sia per i preposti in ragione delle loro nuove funzioni, sia per i datori di lavoro, la cui formazione deve far leva soprattutto sulla importanza dell’organizzazione del sistema di prevenzione aziendale.
Prendendo spunto dal fatto che l’esperienza dell’emergenza pandemica ha portato alla ribalta le tecnologie della formazione a distanza, sulla cui efficacia si discute e si discuterà a lungo, non si è mancato di segnalare come l’efficacia della formazione a distanza dipenda anche dalle metodologie didattiche che probabilmente dovrebbero avvalersi di strumenti diversi da quelli tradizionalmente utilizzati in presenza, come ad esempio lo storytelling abbinato al role play.
Più in generale, anche nella formazione in presenza si avverte l’esigenza di metodologie di formazione più efficaci e contestualizzate alle tipologie di lavoro (come anche l’inserimento di video e/o di laboratori interattivi), così come di un’adeguata valutazione dei formatori e di una maggiore interazione tra docente e discenti.
Un’attenzione particolare è stata sollecitata per rafforzare la prevenzione partecipata tramite il potenziamento formativo tecnico dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (aziendali, territoriali e di sito produttivo) anche per quanto attiene all’adozione da parte delle imprese dei modelli di organizzazione e di gestione (MOG) di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008 che non può avvenire efficacemente senza il coinvolgimento e il contributo di tali soggetti.
E, in generale, la specifica formazione destinata alle varie figure che compongono il sistema di prevenzione aziendale (come in particolare gli addetti alle squadre di emergenza) dovrebbe mirare a fornire una maggiore consapevolezza del proprio ruolo a tali soggetti.
Sulle possibili riforme, oggetto della Quarta sessione del Festival, si riscontrano sia proposte mirate a singoli aspetti sia proposte più complessive che hanno evidenziato le varie criticità dell’applicazione del d.lgs. n. 81/2008, senza peraltro metterne in discussione l’impianto di fondo del decreto, senz’altro da preservare.
L’esigenza di un affinamento del dettato normativo vigente riguarda innanzitutto il raccordo tra il d.lgs. n. 81/2008 e le altre norme vigenti in materia di salute e sicurezza che, pur essendo stato previsto da tale decreto fin dalla sua emanazione, a tutt’oggi non appare ancora realizzato: si tratta di un mancato raccordo che (come nel caso di recenti provvedimenti in materia di radioprotezione) rischia di ingenerare pericolose confusioni in merito agli stessi concetti di base che caratterizzano la filosofia regolativa del d.lgs. n. 81/2008.
Strettamente legato a questo tema vi è quello legato al campo di applicazione oggettivo della disciplina legislativa, qui emergendo gli ormai intollerabili ritardi nell’adeguamento della stessa in alcuni settori (in particolare della pubblica amministrazione) nei quali risulta tuttora vigente la vecchia disciplina regolamentare attuativa del d.lgs. n. 626/1994.
Anche per quanto attiene al campo di applicazione soggettivo della disciplina legislativa emerge l’esigenza di un attento aggiornamento dovuto ai continui mutamenti del mercato del lavoro specialmente per quanto attiene ai contratti di lavoro flessibili, all’incessante innovazione tecnologica ed alla progressiva e spesso conseguente evanescenza del luogo della prestazione.
Quanto al sistema istituzionale, un punto particolarmente critico riguarda il ritardo dell’attivazione del Sistema Informativo Nazionale della Prevenzione (SINP), sul quale peraltro si registrano ora le innovazioni introdotte dal d.l. n. 146/2021.
Uno degli aspetti più critici del sistema di prevenzione aziendale riguarda il ruolo consulenziale del medico competente con particolare riferimento alla valutazione dei rischi, risultando ormai anacronistico che in alcune realtà (nelle quali non esiste l’obbligo di sorveglianza sanitaria e correlativamente quello di nominare il medico competente) tale valutazione possa prescindere dall’apporto di un medico, considerando oltretutto i sempre nuovi rischi per la salute fisica e psichica che emergono nei nuovi scenari dell’organizzazione del lavoro.
Parallelamente, alcune innovazioni si impongono anche per quanto riguarda l’altro polo consulenziale in materia di prevenzione aziendale, vale a dire il servizio di prevenzione e di protezione, in relazione al quale si lamenta in particolare la mancata definizione di un numero minimo degli addetti a tale servizio, dei suoi mezzi e delle sue dotazioni. Sempre meno convincente appare poi la mancanza di una norma di legge che, chiarendo una volta per tutte la distinzione logica tra le funzioni di staff e quelle di line, precluda espressamente il conferimento della delega di funzioni di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 81/2008 al RSPP, come purtroppo invece ancora troppo spesso accade. E, a proposito del RSPP, in alcuni contributi si auspica che tale soggetto assuma sempre più un ruolo manageriale in materia di sicurezza, il che peraltro non deve comportare confusioni per quanto attiene alle posizioni di garanzia.
Con particolare riferimento al settore sanitario, anche alla luce dell’esperienza pandemica, si auspica un ripensamento della valutazione del rischio in un’ottica più ampia, contemperando allo stesso tempo la sicurezza dei lavoratori, dei pazienti/stakeholders e dell’organizzazione nel suo insieme, creando contestualmente strumenti semplificati a supporto dei servizi di prevenzione e protezione. Così come si propone di costituire in maniera stabile appositi tavoli tecnici di coordinamento a livello regionale dei RSPP delle aziende sanitarie pubbliche.
Al di là dell’esigenza di una semplificazione della legislazione in materia di sicurezza sul lavoro, da più parti si auspica una valorizzazione dei modelli di organizzazione e di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (MOG) e dei sistemi ad essi sottesi (SGSL), e ciò anche là dove all’adozione ed efficace attuazione di tali modelli non è riconosciuta l’efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al d.lgs. n. 231/2001, come accade nelle pubbliche amministrazioni escluse dall’applicazione di tale decreto. Detto in altri termini, ai MOG si riconosce un’utilità che travalica quella funzione esimente, poiché costituiscono una risorsa metodologica fondamentale per rendere più certo e trasparente – tramite la loro struttura procedurale – l’adempimento dei precetti prevenzionistici.
Con riferimento alle recenti innovazioni legislative (d.l. n. 146/2021), in alcuni contributi si è sottolineato come esse, per quanto importanti, non risultino esaustive, avvertendosi la mancanza del rafforzamento della prevenzione. In altri termini, la riforma privilegerebbe gli aspetti legati alla vigilanza e alle sanzioni senza innovare rispetto all’implementazione della prevenzione partecipata, che non può essere ricercata caricando di poteri (e nuove responsabilità) solo i preposti, laddove un’effettiva prevenzione partecipata e, quindi, efficace, dovrebbe coinvolgere tutti gli attori, compresi i lavoratori.
“SE.PO Security Point”
La sicurezza a portata di un click
“LA PREVENZIONE” Frutto di condivisione a 360°
Coordinamento RLS Toscana
“Lavoriamo sui Comportamenti ” CNA e INAIL Umbria
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